È la fine degli allevamenti in Italia

*Questa è una notizia di altrattualità – cronaca di un mondo che non esiste…ma potrebbe!*

Sotto l’insegna di legno con su scritto “Muu” mi aspetta una donna sorridente, con accanto una mucca che le lecca la mano. “Ciao, piacere, Cira. Lei è Doretta”. Parcheggio l’automobile, scendo e mi presento anche io. Cira mi guida attraverso le mangiatoie, gli abbeveratoi, le stalle, la casa che divide con due ragazzi, i grandi spazi erbosi intorno che si arrampicano sulle colline del Casertano. Muu è un rifugio per animali salvati dagli allevamenti e Cira ne è la custode, insieme a Henry e Salvo. Gli altri inquilini, tra capre, mucche, tori, conigli e maiali, sono circa un centinaio.

Per i rifugi come questo, oggi è un giorno speciale. Da oggi gli allevamenti di ogni tipo sono vietati nel nostro Paese. La legge veniva promulgata esattamente un anno fa e lasciava 12 mesi di tempo all’industria alimentare per convertirsi, organizzarsi in vista di questo rivoluzionario cambio di passo. Addio salame, wurstel, prosciutto, speck, pancetta, bistecca, ma anche pecorino, parmigiano, ricotta, mozzarella, uova. Benvenuti ceci, piselli, fagioli, lenticchie, frutta secca, frutta fresca, cereali, verdura. Negli ultimi mesi, mentre capannoni e mattatoi chiudevano i battenti, giovandosi dei sostanziosi incentivi statali alla conversione produttiva, i rifugi per animali si moltiplicavano. Anche questi venivano – e vengono – sovvenzionati da fondi pubblici. Il governo ha stimato che la spesa totale per queste misure è nettamente inferiore rispetto ai costi ambientali e di salute direttamente prodotti dal consumo di carne.

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Più schwa per tuttз: il linguaggio inclusivo arriva a scuola

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Oggi il Ministero dell’istruzione ha rilasciato nuove “Linee guida per un linguaggio inclusivo a scuola”. Le raccomandazioni ministeriali si rivolgono sia allз insegnanti che allз autorз dei libri scolastici, che da oggi sono invitatз a utilizzare lo schwa – “ǝ” per il singolare, “з” per il plurale – il carattere che rende le parole inclusive di tutti i generi (maschile, femminile, non binario).

È il frutto di un lavoro durato circa tre anni, che ha coinvolto l’Accademia della Crusca e si è basato su una consultazione pubblica aperta a studenti, insegnanti e professionistз della linguistica e dell’educazione, chimatз a dire la loro su un portale online e nell’ambito di videoconferenze.

Già da diversi anni l’italiano inclusivo è diffuso nella scrittura e, in misura più limitata, fa capolino nel parlato. Le linee guida intendono incoraggiare il cambiamento già in atto, puntando sullз più giovani.

“Sono solo parole”

Si avvicina così il tramonto definitivo della regola grammaticale del “maschile universale”, che impone l’utilizzo della desinenza maschile quando si parla di una pluralità di persone di generi misti (anche quando ne fa parte un solo uomo), o di una persona singola di cui non si conosce o non è rilevante il genere. Di universale qui c’è davvero poco: o è maschile o è universale. E fa il paio con un altro celebre ossimoro: suffragio universale maschile. La legge n. 666 del 1912, che estese il diritto di voto a tutti i cittadini maschi di almeno 30 anni senza più alcun requisito di censo né di istruzione, recitava all’articolo 2 “sono elettori coloro che abbiano compiuto il trentesimo anno di età”. Era pacifico che la parola elettori non includesse affatto delle elettrici.

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Adozione aperta alle coppie-non-coppie: approvata la legge sul progetto di genitorialità comune

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Oggi il Senato ha approvato la legge, depositata alla Camera due anni fa, che consente alle coppie-non-coppie di adottare un/a bambino/a. Se l’espressione vi sembra fuorviante…avete ragione! Nel testo di legge, infatti, non ne troverete traccia. Al suo posto, leggerete di «due persone con un progetto di genitorialità comune». In pratica, da domani due fratelli o due amiche hanno la facoltà di adottare. Beninteso, se soddisfano alcuni requisiti. Per capire meglio la disciplina introdotta dalla legge, oltre che per approfondirne i retroscena, ho intervistato Lavinia C., deputata prima firmataria del progetto di legge.

L’iter della legge è l’epilogo della storia personale di Lavinia: i due racconti si intrecciano, al punto che difficilmente oggi avremmo ottenuto questo risultato se una sera, apparentemente ordinaria, di alcuni anni fa qualcosa non avesse fatto clic nella sua testa. Ma partiamo dall’inizio. «Lavinia, spiegaci quando e come hai avuto l’idea».

«Volentieri. Lasciami dare un po’ di contesto. Ero appena trentenne e, come molte persone della mia età, avevo già alle spalle diverse relazioni sentimentali. Su alcune di queste avevo riposto grandi aspettative, ma i miei partner semplicemente non si erano rivelati essere le persone giuste per costruire una famiglia. Intanto il mio desiderio di maternità cresceva. Sentivo di avere (quasi) tutte le carte in tavola: una rispettabile carriera da avvocata, una casa, le energie fisiche e mentali e, soprattutto, un moto interiore fortissimo».

«A quel punto, avevi già considerato l’opzione dell’adozione da single?»

«Certamente. Come sai, la legge non la consente. Esisteva già una giurisprudenza a favore dell’adozione da parte di single, il che significava però puntare su una battaglia incerta. Eppure non era questo a frenarmi. In breve: avevo paura di non farcela da sola. So che esistono tantissimi genitori single che gestiscono al meglio il loro tempo e le loro risorse e non fanno mancare nulla ai propri bambini. Ma sentivo che quella strada non faceva per me. Temevo che non avrei avuto tempo a sufficienza, che avrei potuto ammalarmi, di non essere sempre al 100% per mio figlio o mia figlia. Presto mi sono accorta che mia sorella Bruna, più piccola di me di due anni, condivideva gli stessi pensieri. Una sera a casa sua è cambiato tutto».

«Che cosa è successo?»

«Eravamo sul divano a guardare un film, in mano una tazza bollente e sulle gambe una copertina: classica modalità serata tranquilla. Ho pensato: perché non possiamo essere genitori insieme, io e lei? Di Bruna mi fido, abbiamo un legame che non si spezzerà mai, diversamente da quanto può accadere tra due amanti. Chiaramente, due coniugi separati possono continuare ad essere degli ottimi genitori. Nel nostro caso, le garanzie sono comunque superiori: non abbiamo alcuna intenzione di separarci!».

Foto di Tatiana Twinslol da Pexels
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Se maschio e femmina non bastano (o non servono)

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Questa mattina la Ministra delle Pari Opportunità ha presentato il suo rapporto sulla revisione della legge 164/1982, Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso. Il documento contiene i risultati di un lavoro durato tre anni, durante i quali un comitato incaricato dal ministero ha osservato l’applicazione della legge, individuato i suoi limiti e lacune e, infine, avanzato precise proposte di riforma.

Vale la pena soffermarsi su alcuni capisaldi di questa riforma, che dovrebbe tradursi nella presentazione di un progetto di legge entro questa legislatura. Il primo è un semplice cambio terminologico, che però pesa perché riflette un cambio di mentalità. Non si parlerà più di attribuzione di sesso, ma di cambio di genere. Se infatti il sesso è biologicamente determinato, il genere ha a che fare con l’auto-percezione e può essere o non essere allineato al sesso biologico. Così, se il sesso non si può modificare, il genere certamente sì, anche – ma non necessariamente – attraverso un percorso di transizione che può includere trattamenti medico-chirurgici. Chi svolge un simile percorso ha interesse a che la sua identità di genere sia rispecchiata dai suoi documenti di riconoscimento: potrà quindi richiedere la correzione (non più del proprio sesso, ma) del proprio genere legale.

Il secondo pilastro della riforma è il passaggio a un sistema basato sull’auto-determinazione. Finalmente l’Italia – sempre ipotizzando che la riforma passi – seguirà il modello di altri Paesi europei e consentirà a chiunque di modificare il proprio genere legale sulla base di una semplice dichiarazione all’ufficiale di stato civile. Gli interventi medici, le diagnosi di “disturbi mentali”, la sterilizzazione, i trattamenti ormonali non saranno più dei requisiti obbligatori. Le persone trans non saranno più messe nell’odiosa condizione di dover scegliere tra l’integrità psicofisica e il diritto ad auto-determinare il proprio genere.

Ma è il terzo punto quello che ha suscitato le reazioni più calde. Il rapporto apre alla possibilità che si introduca un terzo genere legale, diverso da maschio e femmina. In particolare, il Ministero intende commissionare uno studio che valuti l’impatto di una simile riforma sulla legislazione e sull’amministrazione italiana. Solo all’esito dello studio sapremo se il Governo includerà effettivamente questo punto nel suo progetto di legge, ma la sola ipotesi appare già un atto rivoluzionario.

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Con l’ideatrice di UNI: l’app degli italiani per la lotta al cambiamento climatico

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Alice V. è visibilmente emozionata. Le suda la fronte, tiene gli occhi bassi e non smette di torcersi le mani nervosamente. Tra pochi minuti il Presidente Mattarella le consegnerà la medaglia d’oro al valore civile. Lei sa di meritarlo, ma i suoi 17 anni e la timidezza in questo momento non aiutano. Bruciare le tappe deve avere un prezzo, no? È il suo momento. Il Presidente fa il suo nome ed è subito uno scroscio di applausi.

Ho intervistato Alice pochi giorni fa, nella casa in cui vive con i suoi genitori in un quartiere della zona sud di Reggio Calabria. Sulla soglia mi accoglie con un sorriso, subito seguito da un’alzata di spalle, mentre dice «Mi scuso per questa indecenza della spazzatura per strada. Sai, le discariche sono piene e non abbiamo abbastanza impianti in Calabria. Ma risolveremo anche questa». Chissà se intendeva “risolverò”. «Ma entra, accomodati». La sua stanza, ordinata, non ha molti fronzoli. Attaccato al muro campeggia un foglio grande con su scritte parole, frecce, nuvolette e numeri. Da qualche parte ci trovo scritto UNI. Ed è proprio da lì che partiamo.

«Quello che stai guardando è il primo abbozzo dell’idea di UNI. È dell’anno scorso», mi dice. La popolarissima app che milioni di italiani hanno già scaricato sul proprio smartphone ha inizio da questo foglio. Affascinante. «Alice, sappiamo che UNI è nata come progetto di informatica per la scuola. Puoi dirci di più?»

«Inizio col dire che il mio prof. di informatica è una bomba e il merito di tutto questo è anche suo. Grazie a lui ho imparato a programmare e ho scoperto che questo mondo è la mia passione. Lo scorso anno, ha sfidato noi studenti a tirare fuori idee di app che fossero utili per risolvere un problema sociale. Io ho pensato subito al cambiamento climatico. Ho spesso partecipato agli scioperi di Fridays for Future e ammiro tantissimo Greta Thunberg. Così ho presentato l’idea».

Il cartello che Alice ha portato con sé all'ultima manifestazione di Fridays for Future
Il cartello che Alice ha portato con sé all’ultima manifestazione di Fridays for Future
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